Dopo la notizia della tragedia umana, insisto nella ricerca
estenuante di parole che dai miei pensieri e sentimenti esprimano e mi liberino
da questo dolore, dal sentirmi disarmata, delusa dagli eventi, esasperata, ma
molto arrabbiata per la volontà resa realtà di un mio ottimo conoscente cui ero
legata da rapporti di affettuoso rispetto, oltre che dal legame puramente umano
che tutti abbiamo con o senza cognizione.
Sempre più spesso l’uomo non è sicuro se il coraggio serva
per morire o per continuare a vivere.
Ma appunto, il desiderio di “farla finita” di solito viene
col desiderio di mettere fine alle sofferenze della vita (causate da malattie,
da circostanze difficili, da depressione o dalla cruda combinazione di questi
fattori).
Il desiderio di morire non fa parte del patrimonio genetico
“naturale” dell’uomo, è una volontà che viene dalla disperazione, esasperazione
(come il tagliarsi un dito a causa di un dolore forte e cronico insopportabile,
o come strapparsi il cuore perché è stato spezzato e macerato da un evento
emotivamente insopportabile, o tagliarsi le gambe perché non si ha più la forza
di camminare, o cancellarsi definitivamente per non vedere più il dolore di chi
ti ama nell’essere impotente nell’aiutarti se ti trovi in momenti di estremo
bisogno non solo psichico ma fisico).
Nel caso dell’amico lo si conosceva come un ragazzo / uomo
semplice, a modo, tranquillo e senza grilli per la testa, credo che ci troviamo
di fronte al classico esempio di follia depressiva (indipendentemente da quelle che possono
essere state le circostanze scatenanti del suo tragico gesto), gesto dal quale
(qualora avesse potuto incidere), non ha avuto la fortuna di essere
forzatamente distratto dagli eventi o da un inconveniente qualunque al momento
opportuno.
Un’altra vittima della depressione (che ahi-noi parla tante
lingue spesso non comprensibili ai più) che ci sta fagocitando tutti a livello
individuale, sociale ed esistenziale e trascinando (per motivi più o meno gravi
o differenti) verso l’auto-annientamento.
Non riesco a interpretare diversamente il gesto di un amico
che evidentemente soffriva da tempo magari in silenzio, nutriva il pensiero di
un gesto al quale quasi tutti siamo stati o saremo qualche volta vicini, e che
Dio ci mandi quell’inconveniente quando siamo sull’orlo del baratro vittime
di una forse giustificata follia.
Chi ha espresso con me questi pensieri mi ha scritto:
-Ricordo di aver ballato con lui alcuni rock & roll.
Il suicidio… Non è solo morte, la notizia di un simile atto
lascia sempre un profondo senso di smarrimento. Di solito solo in pochi casi la
persona che lo attua, lo decide in maniera repentina magari per una forte
depressione o una improvvisa situazione che si ritiene inaffrontabile.
In buona parte dei casi invece esso non è altro che la
conclusione di un arduo percorso interiore doloroso, dilaniante durante il
quale, frequenti sono i dubbi sul porre in essere o meno, il suicidio.
Motivazione… Reazione? In questo caso la persona che pensa
di suicidarsi reagisce infatti a una situazione che ritiene disperata,
inaffrontabile, di impotenza nel cambiare lo stato delle cose.
Ha subito un trauma… Ha perso una o più persone care, ne
vede in pericolo altre? Ha avuto una delusione professionale o personale…
Il suicidio appare come l’unico mezzo per porre fine alle
proprie sofferenze in quanto esse vengono ad un certo punto vissute come
intollerabili.
Si resta a bocca aperta e spaventati da ciò che può accadere
potenzialmente a tutti noi, in una frazione di secondo in cui restiamo
completamente soli.
Proviamo ancora e sempre ad affidarci al nostro angelo
custode che non ci lasci mai soli e non si distragga neanche per un momento.
Con affetto e nel grande rispetto dell’amico scomparso
colpevole solamente della sua disperazione e di nient’altro.
A.G e A.G.
La gente ovunque nel mondo sperimenta Problemi, Dispiaceri Bisogni e Malattie e sviluppa maestria , destrezza e conoscenza in risposta ad essi. |
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